lunedì 20 luglio 2020

VOCI ALLEATE: Al Di Qua Artists – Alternative Disability Quality Artists


Descrizione immagine: nella parte alta del riquadro, spostata verso destra, appare la scritta “LA MIA PERFORMANCE è UNA PERFORMANCE, LA MIA VITA. NO”. La frase è scritta con caratteri neri e maiuscoli. La parola NO è più grande delle altre. Sullo sfondo, in tinte pastello, sfumature di azzurro e violetto

Il 16 Luglio a Santarcangelo Festival abbiamo aperto un tavolo di immaginazione [transfemminista] per creare un percorso di autoinchiesta collettivo e capire cosa sta accadendo in era post-pandemica a artist, tecnic, lavorat dell’arte dal vivo. Nell'idea di mappare pratiche, punti di vista, posizionamenti, far emergere ciò che spesso resta invisibile abbiamo invitato altr a prendere parola per moltiplicare ed espandere il più possibile le istanze in campo: Johanne Affricot di GRIOT Italia, piattaforma e collettivo artistico e culturale internazionale che porta alla luce e amplifica le diverse storie e voci dell’Africa, della diaspora africana e altre culture e contaminazioni. Giulia Mengozzi e Amos Cappuccio di Art Workers Italia, un'associazione culturale composta da lavoratrici e lavoratori delle arti contemporanee nata durante l’attuale crisi dovuta alla pandemia e Diana Anselmo e Chiara Bersani di Al Di Qua - Alternative Disability Quality Artists, un gruppo di artist e lavorat dello spettacolo con disabilità. 

QUI è possibile visionare il video dell'incontro.


Siamo convint che razzismo, sessismo, precariato, abilismo, siano tentacoli di un medesimo problema che riguarda tutt, sono condizioni esistenziali che ci attraversano. Prenderne coscienza è la prima apertura per problematizzare le dinamiche escludenti che intossicano il nostro ambiente, sociale e lavorativo. Durante l'incontro il collettivo Al Di Qua - Alternative Disability Quality Artists ha aperto una breccia su quel sistema che disabilita persone, professioni, ambienti, relazioni e sguardi. Qui di seguito condividiamo per complicità e sentita prossimità il loro intervento.


Al Di Qua - Alternative Disability Quality Artists è un gruppo di artist e lavorat dello spettacolo con disabilità nato durante la pandemia globale del 2020 quando ha iniziato a confrontarsi e porsi domande, concedendo alle risposte il tempo della maturazione, a stare nel disaccordo, a scoprirsi molteplici e compless.


________

“Esiste un muro” abbiamo dichiarato “e quindi esistono un Al Di Qua e un Al Di Là”.
Nell’Al Di Qua eravamo monadi solitarie ma ci siamo riunite, abbiamo dato nuovi nomi alle cose, ci alleniamo collettivamente ad essere forza eterogenea e compatta. Cerchiamo insenature nel muro per farlo crollare. Vogliamo contagiare con forza capillare l’Al Di Là, costruire nuovi spazi di possibilità, rileggere i meccanismi di partecipazione, diventare voce nel cuore del dibattito contemporaneo affinché il nostro corpo non sia la prima e ultima cosa che si dica di noi.
Vogliamo che nessun parli mai più a nome nostro! 
Questa è la nostra prima uscita.

Ciao,
come stai?
Noi stiamo bene oggi perché abbiamo finalmente deciso di scriverti. E lo stiamo facendo da molto vicino, dall'Al Di Qua.


Siamo artiste e lavorat dello spettacolo accomunati dall’essere orgogliosamente portatrici di corpi disabilitati.
Non chiederti cosa sia La Disabilità, è la domanda sbagliata!
Chiediti invece Cosa ci rende disabili.
E tu? Cosa ti rende disabile?


Non sono i nostri corpi il problema, non le nostre competenze fisiche, motorie, sensoriali, neurologiche, cognitive. Noi non possiamo più accettare che sotto un unico confortevole termine dal sapore medico-scientifico vengano raccontati e appiattiti i nostri corpi, le nostre storie, le nostre mutevoli identità: non parliamo di disabilità ma di Esperienze Disabilitanti imposte da una società costruita sul modello di quell’unico essere umano occidentale, maschio, bianco, abile, sano, cis, etero.


E voi, vi siete sentite impotenti durante la quarantena?
Che esperienze disabilitanti avete avuto voi? Vi hanno lasciato cicatrici?
Ve le ricordate ancora?
Se Sì, ve ne prendete cura?


Parliamo di quella società che ha creato una scala di valutazione delle abilità, per poi selezionare i corpi e gli stili di vita che avevano diritto ad abitare il mondo, relegando gli altri a specifiche
periferie.
Per noi, per esempio, sono state costruite riserve naturali dove, ci viene detto, potremmo stare bene.


E tu? Pensi che noi ci stiamo bene nelle vostre riserve naturali? 
Ci hai mai chiesto se vogliamo i “progetti inclusivi”? 
Riuscite a notare la differenza tra “dare spazi di autonomia” e “concedere spazi controllati”?


Ci è stato detto che il nostro essere corpi marginalizzati è diverso dalle altre esperienze di minoranza.
Ci è stato insegnato a dire permesso, grazie, scusa.
Ci è stato imposto di non pretendere
C’è sempre stato una specialista, professionisti, artiste a spiegarci chi eravamo e cosa dovevamo fare.


Siete sicure che i “bisogni speciali”, per esempio di comprensione - ascolto - validazione, siano davvero necessità così speciali e non piuttosto di tutte?


Di noi, da sempre, discutono gli abili, e no, qui il maschile non è casuale.
Sui nostri corpi “gli altri” fanno esperimenti, creano visioni, scrivono narrazioni, traggono ispirazioni.


E tu, sei sicuro che sarai abile per sempre?
Siete sicure che le persone accanto a voi, adesso, siano tutte abili?
Siete sicuru di poter riconoscere una persona che subisce esperienze disabilitanti solamente guardandola in faccia?
Siete sicuri che una persona con disabilità nascosta si senta serena nello svelarsi? Perché?
Siete sicure che non subirebbe ritorsioni professionali?
Siete sicuru che quando sarete meno prestanti di adesso, e vi assicuro che accadrà, sareste pronte a rinunciare a lavorare?
Sareste pronti a delegare la vostra vita e le vostre ambizioni alle scelte di altri?
Se vi guardate attorno, quante persone con disabilità vedete in posizione lavorative di direzione/decisione/potere?


Che differenza c’è tra “far sentire una voce” e “appropriarsi di quella voce”?


Stella Young, drammaturga, giornalista e attivista australiana con disabilità morta nel 2014, è stata la prima a dire “I’m not your inspiration”.
Noi ora lo ripetiamo.
Lo moltiplichiamo.
Lo amplifichiamo.
“We are not your inspirations”.
Non siamo qui PER VOI. Siamo qui PER NOI.
Per prendere lo spazio che non ci è mai stato concesso.
Per costruire immaginazioni e non semplicemente alimentarne.
Per prendere parola.
Per creare un precedente a coloro che arriveranno dopo.


Per formarvi.
Per formarci.
Per smettere di essere eccezioni.


Siete sicur che vi aspettavate che ci fossimo anche noi?


Non ti preoccupare, non ci perdiamo di vista.
Ti chiamiamo noi,
presto.

Siate felici,
Al. Di. Qua. Artists


martedì 7 luglio 2020

ABBIAMO UN PROBLEMA



Quant_ collegh_ non bianch_ hai? 

Quant_ curator_ e/o direttor_ non bianch_ conosci? 

Quando sali sul palco, di quante e quali soggettività è composta la platea per cui ti esibisci? 

Abbiamo un problema. 


Come artist_/lavorat_ nell’ambito delle arti performative in Italia, riconosciamo e siamo consapevoli della netta maggioranza bianca che compone il nostro settore, della gravità di questo dato e di quello che comporta. 

 

Posizionandoci come attivamente antirazzist_, non vogliamo e non possiamo ignorare la sistematica mancanza di accesso, inclusione e relazione con lavoratori/trici dello spettacolo ner_ e razzializzat_ nel teatro, nella danza e nelle arti dal vivo in Italia. 

Lo stesso vale per il pubblico: non vogliamo più produrre arte e sistemi relazionali solo per il pubblico di un’elite bianca e benestante.


Violenza, abilismo, sessismo, razzismo, colonialismo, razzismo ambientale, omolesbobitransfobia, binarismo di genere, eterosessualità obbligatoria, precarietà non sono per noi “temi” da tradurre in punteggi – nei bandi, nei progetti, nella programmazione di rassegne e festival, nei dibattiti. Sono le condizioni dentro cui viviamo immers_.

Proprio in quanto soggetti multiformi queer, trans, non binari, donne* e transfemminist_, abbiamo imparato sui nostri corpi che questi sono sistemi interconnessi che agiscono simultaneamente, utilizzando forme di violenza e di dominio affini che si consolidano le une con le altre.


Riconoscendo i benefici e le opportunità che sono derivate e derivano dal nostro privilegio bianco, ci impegniamo attivamente a utilizzarlo per segnalare, identificare, problematizzare e mettere in crisi le dinamiche di sistema razziste ed escludenti che caratterizzano il panorama in cui lavoriamo. 


Consapevoli che le parole non siano sufficienti ma che siano necessarie azioni per mettere in crisi gli assi di privilegio, ci impegniamo a rendere sempre più concreta ed effettiva la nostra postura di complici, decentrando la nostra presenza e sostenendo una ridistribuzione di risorse, opportunità e spazi. 


È necessario e urgente iniziare un lavoro individuale, collettivo e istituzionale di formazione e di presa di coscienza antirazzista e attivamente decoloniale, che troppo spesso è appoggiato (gratuitamente) su chi esperisce queste forma di violenza direttamente sul proprio corpo. 


Vediamo con chiarezza che le lotte antirazziste che si sono attivate in questi mesi agiscono non solo sul piano politico e sociale, ma ridefiniscono e mettono profondamente in discussione l’idea stessa di arte e di cultura come strutture compatte e egemoniche, chiamando in gioco le narrazioni, i linguaggi, gli archivi, le storie, le rappresentazioni, i gesti, le posture, come elementi direttamente politici. 


La rimozione storica del colonialismo italiano riproduce un’identità nazionale problematica costruita sul mito degli “italiani brava gente” attraverso riscritture storiche, omissione di genocidi, topografie delle città, conservazione di monumentalità e musei profondamente coloniali, costruzione della bianchezza e cultura dello stupro etnico, continuando così a nutrire le attuali forme di razzismo, anche istituzionale. Una cultura che legittima e autorizza le politiche migratorie vigenti – in Italia e in Europa – basate sul respingimento e l’esclusione sistemica dai diritti di cittadinanza, anche per chi nasce e/o cresce in Italia. Così il Mediterraneo-frontiera genera morte e il lavoro invisibilizzato – nei campi come nelle case e nel lavoro di cura – nuove forme di schiavismo e sfruttamento.


Ci interroghiamo infine rispetto all’assenza di un posizionamento formale da parte delle istituzioni culturali italiane alla luce delle più recenti mobilitazioni dei movimenti Black Lives Matter, rilevando che il silenzio è di per sé una postura. Razzismo, eredità coloniale e politiche migratorie violente riguardano il presente di questo paese. 


Di seguito abbiamo raccolto e condividiamo una lista (non esaustiva) di link/risorse che ci sembrano utili per iniziare ad aprire un pensiero e una pratica critica su razzismo, arte, privilegio, in una prospettiva di auto-formazione.


[PRIVILEGIO E ALLEANZE]














[CORPI / RAPPRESENTAZIONI / ARTE / DANZA / MUSEI]















[DECOLONIZZARE]





[ECOLOGIE]








[COMPLICITA’ E PRATICHE]








[READING LISTS]









[ALCUNI LIBRI] 


  • Reni Eddo Lodge (2017), Why I’m no longer talking to white people about race

  • Nell Irvin Painter (2010), The History of White People;

  • Edward Said (1978), Orientalismo; 

  • Audre Lorde (2014), Sorella Outsider - gli scritti politici di Audre Lorde; 

  • bell hooks (1998), Elogio del margine - razza, sesso e mercato culturale;

  • Frantz Fanon (1952), Pelle Nera Maschere Bianche;

  • Rachele Borghi (2020), Decolonialità e Privilegio - Pratiche femministe e critica al sistema-mondo;

  • Alok Vaid Menon (2017), Femme in Public;

  • Leila El Houssi; Lucia Ghebreghiorges; Alesa Herero; Esperance H. Ripanti; Djarah Kan; Ndack Mbaye; Marie Moïse; Leaticia Ouedraogo; Angelica Pesarini; Addes Tesfamariam; Wii. - a cura di Igiaba Scego, (2019), Future. Il domani narrato dalle voci di oggi;

  • Sylvia Rivera, Marsha P. Johnson, (prefazione di Ehn Nothing) (2020), S.T.A.R. (Azione Travestite di Strada Rivoluzionarie), Sopravvivenza, Rivolta e Lotta Queer Antagonista;

  • Gloria Anzaldùa, Audre Lorde, Paula Gunn Allen (2013), Senza Riserve, Geografie del Contatto;

  • Gloria Anzaldùa (1987) 2013. Borderlands/ La Frontera: The New Mestiza. 

  • Puar, Jasbir. (2007) Terrorist Assemblages: Homonationalism in Queer Times.

  • Josè Estaban Munoz (2009), Cruising Utopia - The Then and There of Queer Futurity