Descrizione immagine: nella parte alta del riquadro, spostata verso destra, appare la scritta “LA MIA PERFORMANCE è UNA PERFORMANCE, LA MIA VITA. NO”. La frase è scritta con caratteri neri e maiuscoli. La parola NO è più grande delle altre. Sullo sfondo, in tinte pastello, sfumature di azzurro e violetto
Il 16 Luglio a Santarcangelo Festival abbiamo aperto un tavolo di immaginazione [transfemminista] per creare un percorso di autoinchiesta collettivo e capire cosa sta accadendo in era post-pandemica a artist, tecnic, lavorat dell’arte dal vivo. Nell'idea di mappare pratiche, punti di vista, posizionamenti, far emergere ciò che spesso resta invisibile abbiamo invitato altr a prendere parola per moltiplicare ed espandere il più possibile le istanze in campo: Johanne Affricot di GRIOT Italia, piattaforma e collettivo artistico e culturale internazionale che porta alla luce e amplifica le diverse storie e voci dell’Africa, della diaspora africana e altre culture e contaminazioni. Giulia Mengozzi e Amos Cappuccio di Art Workers Italia, un'associazione culturale composta da lavoratrici e lavoratori delle arti contemporanee nata durante l’attuale crisi dovuta alla pandemia e Diana Anselmo e Chiara Bersani di Al Di Qua - Alternative Disability Quality Artists, un gruppo di artist e lavorat dello spettacolo con disabilità.
QUI è possibile visionare il video dell'incontro.
Siamo convint che razzismo, sessismo, precariato, abilismo, siano tentacoli di un medesimo problema che riguarda tutt, sono condizioni esistenziali che ci attraversano. Prenderne coscienza è la prima apertura per problematizzare le dinamiche escludenti che intossicano il nostro ambiente, sociale e lavorativo. Durante l'incontro il collettivo Al Di Qua - Alternative Disability Quality Artists ha aperto una breccia su quel sistema che disabilita persone, professioni, ambienti, relazioni e sguardi. Qui di seguito condividiamo per complicità e sentita prossimità il loro intervento.
Al Di Qua - Alternative Disability Quality Artists è un gruppo di artist e lavorat dello spettacolo con disabilità nato durante la pandemia globale del 2020 quando ha iniziato a confrontarsi e porsi domande, concedendo alle risposte il tempo della maturazione, a stare nel disaccordo, a scoprirsi molteplici e compless.
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“Esiste un muro” abbiamo dichiarato “e quindi esistono un Al Di Qua e un Al Di Là”.
Nell’Al Di Qua eravamo monadi solitarie ma ci siamo riunite, abbiamo dato nuovi nomi alle cose, ci alleniamo collettivamente ad essere forza eterogenea e compatta. Cerchiamo insenature nel muro per farlo crollare. Vogliamo contagiare con forza capillare l’Al Di Là, costruire nuovi spazi di possibilità, rileggere i meccanismi di partecipazione, diventare voce nel cuore del dibattito contemporaneo affinché il nostro corpo non sia la prima e ultima cosa che si dica di noi.
Vogliamo che nessun parli mai più a nome nostro!
Questa è la nostra prima uscita.
Ciao,
come stai?
Noi stiamo bene oggi perché abbiamo finalmente deciso di scriverti. E lo stiamo facendo da molto vicino, dall'Al Di Qua.
Siamo artiste e lavorat dello spettacolo accomunati dall’essere orgogliosamente portatrici di corpi disabilitati.
Non chiederti cosa sia La Disabilità, è la domanda sbagliata!
Chiediti invece Cosa ci rende disabili.
E tu? Cosa ti rende disabile?
Non sono i nostri corpi il problema, non le nostre competenze fisiche, motorie, sensoriali, neurologiche, cognitive. Noi non possiamo più accettare che sotto un unico confortevole termine dal sapore medico-scientifico vengano raccontati e appiattiti i nostri corpi, le nostre storie, le nostre mutevoli identità: non parliamo di disabilità ma di Esperienze Disabilitanti imposte da una società costruita sul modello di quell’unico essere umano occidentale, maschio, bianco, abile, sano, cis, etero.
E voi, vi siete sentite impotenti durante la quarantena?
Che esperienze disabilitanti avete avuto voi? Vi hanno lasciato cicatrici?
Ve le ricordate ancora?
Se Sì, ve ne prendete cura?
Parliamo di quella società che ha creato una scala di valutazione delle abilità, per poi selezionare i corpi e gli stili di vita che avevano diritto ad abitare il mondo, relegando gli altri a specifiche
periferie.
Per noi, per esempio, sono state costruite riserve naturali dove, ci viene detto, potremmo stare bene.
E tu? Pensi che noi ci stiamo bene nelle vostre riserve naturali?
Ci hai mai chiesto se vogliamo i “progetti inclusivi”?
Riuscite a notare la differenza tra “dare spazi di autonomia” e “concedere spazi controllati”?
Ci è stato detto che il nostro essere corpi marginalizzati è diverso dalle altre esperienze di minoranza.
Ci è stato insegnato a dire permesso, grazie, scusa.
Ci è stato imposto di non pretendere
C’è sempre stato una specialista, professionisti, artiste a spiegarci chi eravamo e cosa dovevamo fare.
Siete sicure che i “bisogni speciali”, per esempio di comprensione - ascolto - validazione, siano davvero necessità così speciali e non piuttosto di tutte?
Di noi, da sempre, discutono gli abili, e no, qui il maschile non è casuale.
Sui nostri corpi “gli altri” fanno esperimenti, creano visioni, scrivono narrazioni, traggono ispirazioni.
E tu, sei sicuro che sarai abile per sempre?
Siete sicure che le persone accanto a voi, adesso, siano tutte abili?
Siete sicuru di poter riconoscere una persona che subisce esperienze disabilitanti solamente guardandola in faccia?
Siete sicuri che una persona con disabilità nascosta si senta serena nello svelarsi? Perché?
Siete sicure che non subirebbe ritorsioni professionali?
Siete sicuru che quando sarete meno prestanti di adesso, e vi assicuro che accadrà, sareste pronte a rinunciare a lavorare?
Sareste pronti a delegare la vostra vita e le vostre ambizioni alle scelte di altri?
Se vi guardate attorno, quante persone con disabilità vedete in posizione lavorative di direzione/decisione/potere?
Che differenza c’è tra “far sentire una voce” e “appropriarsi di quella voce”?
Stella Young, drammaturga, giornalista e attivista australiana con disabilità morta nel 2014, è stata la prima a dire “I’m not your inspiration”.
Noi ora lo ripetiamo.
Lo moltiplichiamo.
Lo amplifichiamo.
“We are not your inspirations”.
Non siamo qui PER VOI. Siamo qui PER NOI.
Per prendere lo spazio che non ci è mai stato concesso.
Per costruire immaginazioni e non semplicemente alimentarne.
Per prendere parola.
Per creare un precedente a coloro che arriveranno dopo.
Per formarvi.
Per formarci.
Per smettere di essere eccezioni.
Siete sicur che vi aspettavate che ci fossimo anche noi?
Non ti preoccupare, non ci perdiamo di vista.
Ti chiamiamo noi,
presto.
Siate felici,
Al. Di. Qua. Artists
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